Dall'invenzione di un sacchetto di lino su misura, nel XVI secolo, alla recente, cauta apertura da parte della Chiesa
La questione etica è allo studio del Consiglio pontificio per la sanità. Ma la pur cauta apertura alla possibilità di un allentamento del divieto del condom nelle coppie sposate, in cui uno dei coniugi sia malato di aids, annuncia una svolta modernizzatrice rispetto alla posizione del Vaticano. Si attende ora il pronunciamento di Papa Benedetto XVI. Se passerà la linea del «male minore», la parziale accettazione dell'uso del preservativo per la difesa della vita, sarà un evento nella storia di quel mezzo di profilassi individuale, comparso nel XVI secolo durante una pandemia di sifilide.
A metterlo a punto fu l'anatomista italiano Gabriele Falloppio: un sacchetto di lino «ad mensuram glandis», impregnato di sali ed erbe. A dominare però, contro il «mal francese», era la pratica di ungersi i genitali con olio o grasso animale. Alla base c'era l'idea che i pori lasciassero filtrare il male: occorreva chiuderli con olio e grasso. Accadeva allora, ironizzava un sifilografo a fine Ottocento, «che i galanti del tempo andassero alle avventure amorose con la tabacchiera d'oro o d'argento ripiena di lardo o altro grasso animale».
Se sui mezzi contraccettivi, diffusi dall'antichità, le notizie sono scarse, sui condom le informazioni non mancano. Il loro lancio sul mercato avvenne nel 1712 a Utrecht, durante la conferenza per la firma del trattato che chiudeva la Guerra di successione spagnola. La presenza di funzionari e diplomatici, circondati da «dame galanti» fece scattare l'idea di produrre dispositivi igienici fatti di membrane animali. Usato anche in funzione contraccettiva, in bordelli di lusso e «alcove degli adulteri», divenne il simbolo di una sessualità illecita, circondato da un'aura di peccaminosità che avrebbe attraversato il libertino Settecento.
Lo usavano il marchese de Sade, Casanova, James Boswell. La sua cattiva fama impose il ricorso a eufemismi, «redingote d'Inghilterra», «lettera francese». Il nome preservativo comparve per la prima volta in una réclâme che dichiarava gli scopi igienico-profilattici: «Fabbrica di preservativi sicuri. Esportazione discreta».
A Venezia lo spaccio di gondoni, goldoni o condoni, «cosetti di pelle bianca come guanti con cordelline», era vietato, nel timore che persone disoneste ne diffondessero l'uso tra le ragazze, garantite dalle gravidanze, avviandole poi alla prostituzione. La circolazione era limitata: molti lo consideravano una «tela di ragno contro il pericolo, e una corazza contro il piacere». Inoltre era costoso perché di difficile lavorazione. Fino alla scoperta della vulcanizzazione della gomma verso il 1840, che ne vede la diffusione come anticoncezionale, era composto da intestino cieco di pecora.
Il profilattico non incontrava neppure il favore dei medici, che non lo ritenevano sicuro contro il contagio, mentre induceva falsa sicurezza nei «consumatori» di sesso mercenario. Jean Astruc, uno dei più famosi del tempo, deplorava che certi «depravati usassero piccoli sacchi fatti di una membrana fine». E il grande Jacob von Plenck scriveva che era un'illusione che preservasse dal veleno venereo «l'applicarsi alla verga una pellicola a forma di guaina».
Più tardi, altri materiali (il lattice) e altri processi di lavorazione renderanno più sicuro il condom. Che però non entrò mai nelle misure pubbliche di profilassi antivenerea. Nella Prima guerra mondiale il timore di incoraggiare il sesso illecito tra i soldati spinse a privilegiare consigli igienici e kit antivenerei, contenenti una famosa pomata. Il peccaminoso dispositivo era bandito persino in enciclopedie e dizionari: fino al 1972 non compare neppure nel monumentale The Oxford English Dictionary.
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